I
pali ferroviari sono il rifugio di centinaia di cicogne che qui
si riposano prima di riprendere il loro viaggio lungo le rotte migratorie
Africa-Europa e ritorno. Sono lultima cosa bella che vedo
prima di arrivare ad Algeciras.
Appena esco dalla stazione lo squallore mi investe. Case pericolanti,
strade diroccate zeppe di smog. Il mare sarebbe lì, ma non
si vede: al suo posto un immenso porto commerciale. Questo è
il punto di arrivo, o di partenza, per molti migranti marocchini,
che poggiano piede in Europa per la prima volta proprio qui.
Ma qui non è Europa. I musulmani sono la maggioranza delle
persone che si vedono in giro. Le insegne sono tutte in arabo. Il
mio ostello si chiama Marrakech: sono lunico cliente non islamico.
Lunico bianco. Lunico turista.
La città è abitata da una misera comunità europea,
sporca e sudaticcia e da due comunità islamiche: una di passaggio,
che cerca qui un punto di appoggio per sbarcare senza traumi nel
continente europeo; una stabile, che lavora per cancellare a quelli
di passaggio il trauma. Ecco spiegate le scritte in arabo, i ristoranti
islamici, gli ostelli rivolti quasi esclusivamente a musulmani.
A migranti.
Voglio vedere da dove partono le cicogne. Prendo il traghetto: quaranta
minuti e Tangeri, Marocco, è davanti a me.
Non ho fatto timbrare i miei documenti a bordo, durante la traversata.
Non mi fanno sbarcare: sono un clandestino. Divertente punizione
per un italiano.
Dove sono? Non fa caldo: la temperatura è gradevole. La zona
del porto è molto occidentale: vedo grattacieli moderni e
centri commerciali dove mi aspettavo moschee, bazar e strade polverose.
La gente si veste con t-shirt e jeans, in spiaggia indossano costumi
simili ai nostri, molte donne hanno la gonna, occhialoni da sole.
È una nazione multi-etnica: ci sono arabi, berberi, beduini,
maghrebini e altri ancora, tutti con costumi e lingue totalmente
diverse. LEuropa comincia da qui, non serve prendere il traghetto.
E lAfrica comincia a Algeciras? Ero più in Marocco
allostello Marrakech o adesso? Mi trovo sempre in un luogo
in cui non sapevo di essere. Nei giorni precedenti, secondo la geografia
avrei dovuto essere in Europa, ma attorno a me non ce nera
traccia.
È una sensazione straordinaria quella di perdersi, di trovarsi
in un altro posto: i luoghi non sono mai come noi pretendiamo che
siano. La realtà è sempre diversa da come la vorremmo.
È quindi sconfortante il giro che, in quanto turista al seguito
di una paffuta guida, sono obbligato a fare. Ma ho un alibi: ho
poco tempo per capire questo paese. So solo che ci piacciamo a vicenda.
Parlo con tanta gente per strada: tutti sanno perfettamente litaliano.
Siamo tutti daccordo che italiani e marocchini si somigliano
molto. Parliamo di calcio: in realtà, di Juve e Milan. Bologna?
Tutti la conoscono: ci sono molti marocchini. La guida mi trascina
via: devo fare il giro sul dromedario. Poi devo fare la foto con
gli incantatori di serpenti che mi mettono una impaurita biscia
sulle spalle. Il coordinamento però non funziona: arrivo
mentre gli incantatori si stanno ancora travestendo
da tradizionali figure del Marocco. Naturalmente devo mangiare il
cous cous. E perché non dare unocchiata alla fabbrica
di tappeti e allerboristeria, entrambe tipiche? E la reggia
estiva del re, non voglio vederla? Così mi trovo a sprecare
il tempo a fare il turista scemo, vedo solo quello che vogliono
farmi vedere.
Un giro per le strette e fresche viuzze tortuose della Casbah, la
parte più antica di Tangeri, mi regala almeno un po
di silenzio, rotto solo dai richiami del muezzin ai fedeli. Almeno
questi saranno autentici? I bambini corrono scalzi per le strade,
dove viene spontaneo giocare a nascondino. Ogni angolo nasconde
qualcosa: un bazar, una donna berbera che vende verdure dalle forme
strane poggiate per terra, una figura misteriosa con abiti di altri
tempi che scivola via come unombra, cumuli di sporcizia, odore
di bucato e di marciume.
Cè un varco nel muro che circonda la piazzetta dei
finti incantatori.
Dietro, muratori sporchissimi, mal vestiti, magrissimi, sfiancati
dal carico di pietre che portano sulla testa. Lavorano sul fianco
di una collina polverosissima da cui si ammira il braccio di mare
blu che separa Tangeri dalla Spagna.
Sembra facile attraversarlo, ma tanti muoiono affogati mentre
tentano la traversata a nuoto: ci sono forti correnti.
Non tutte le cicogne arrivano in Europa.
Salaam.
di
Riccardo Pirazzoli
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